Gambling- gioco d'azzardo patologico

Un problema psicologico, ma anche patologico, sempre attuale, è il gioco d’azzardo. Questa patologia sembrerebbe non svanire mai, infatti, risulta sempre attuale. Il motivo di ciò è dovuto all’esistenza di svariati giochi, che si basano più sulla fortuna che sull’abilità; e ai giorni nostri ne esistono veramente tanti. Il termine “azzardo” stesso indica che si ha a che fare con un’attività rischiosa, un gioco non basato sulle capacità personali, sulle abilità, ma sulrischio vero e proprio.

Le persone che “soffrono” di tale disturbo non riescono, inizialmente, a rendersi conto di essere entrati nel tunnel del gioco d’azzardo, e quando si accorgono della situazione è troppo tardi, tanto che non riescono ad uscirne da soli, con la stessa buona volontà. Nonostante molti dichiarino di riuscirci con le proprie forza, secondo gli esperti di psicologia, questi “malati” devono per forza farsi aiutare, rivolgersi a dei gruppi di specialisti, a delle strutture specifiche che si occupano di situazioni di questo genere. Perché quest’attività eccita e stimola così tanto le persone? Il rischio di scommettere determinate somme, con la possibilità di vincerne di più, ma anche di perderne, provoca un senso di gratificazioneÈ da sottolineare che il gioco d’azzardo è considerato patologico quando diventa insistente, frequente, non si riesce a farne a meno, insomma una specie di “droga“.

Infatti, crea dipendenza, non dipende dal carattere di una persona, debole o no, ma potrebbe capitare a tutti. Esistono deisintomi che rappresentano un vero e proprio campanello d’allarme del gioco d’azzardo. Innanzitutto, come accennato prima, non si riesce a smettere da soli; si vuole puntare e rischiare sempre di più, con cifre alte e con frequenza elevata; da un punto di vista caratteriale si diventairascibilinervosibugiardi, e anche pericolosi. Insomma, si è disposti a fare qualsiasi cosa per avere i soldi (che finiscono inesorabilmente) e giocare. Da quando si inizia a quando ci si rende conto del problema la persona attraversa una serie di fasi. Per poter uscire da questo “maledetto” tunnel, che purtroppo, rovina la stessa persona, ma anche tutti coloro che gli sono vicino, bisogna parlarne, rivolgersi a degli specialisti, ma iniziare anche dai parenti, insomma uscire fuori allo scoperto.


Sinestesia:capacità sensoriali e percettive

Uno studio statunitense ha scoperto l’esistenza di alcune persone con capacità sensoriali e percettive considerate speciali. Queste ultime vengono racchiuse nel termine sinestesia (fenomeno sensoriale/percettivo durante il quale il contatto o la presenza di un odore o sapore evoca un’altra reazione sensoriale) conosciuta sin dall’800, scoperta da Francis Galton, che l’evoluzione non ha eliminato, ma che tuttora è presente.

Questo fenomeno rappresenta una confusione sensoriale che nella maggior parte dei casi ha una base genetica ed è presente nel 2-4% della popolazione generale. La ricerca che ha sottolineato la presenza nei giorni nostri della sinestesia, dopo tutti questi secoli, è stata condotta dagli scienziati dell’Università della California, i dottori David Brang e Vilayanur Ramachandran. Percepire e associare stimoli e sensazioni diverse (un colore con un odore) è dovuto a connessioni cerebralianomale che hanno l’importante e normale compito di sentire suoni e vedere i colori. Le persone che presentano questo tipo di capacità hanno dei vantaggi mnemonici, delle grandi abilità. Ecco perché il fatto che nel corso del tempo, la sinestesia, non sia stata eliminata sta a significare che la sua presenza ha aiutato l’uomo nella lotta alla sopravvivenza.

Secondo lo studio, pubblicato su PloS Biology, la sinestesia sarebbe presente, in particolar modo, negli artisti, come poeti e/o letterati, e possiamo ben immaginare il motivo. Le aree cerebrali connesse tra loro che donano queste capacità sensoriali e dimemoria speciali rappresentano il perché dei caratteri degli artisti. È importante sapere che nel corso dell’evoluzione un fenomeno così particolare come la sinestesia non è stato eliminato e continua ad aiutare le persone che lo posseggono.


Dipendenza dagli ansiolitici, gli interventi per disintossicarsi

La dipendenza dagli ansiolitici è legata al fatto che sia in Italia che nel mondo il consumo di questi farmaci è sempre più diffuso. In particolare ci si riferisce all’uso delle benzodiazepine, che sono delle sostanze in grado di alterare l’attività motoria e mentale del paziente. Queste sostanze riescono a provocare assuefazione,dipendenza e crisi di astinenza. Il loro consumo dovrebbe essere limitato, ma vengono sempre più prescritti, tanto da arrivare ad un vero e proprio problema di salute pubblica. Ma come uscire dal meccanismo di assuefazione e dipendenza che questi tranquillanti determinano?

Gli interventi per disintossicarsi
Gli interventi per disintossicarsi dalla dipendenza dagli ansiolitici comportano il riuscire ad entrare all’interno dei meccanismi che hanno portato all’uso e all’abuso dei tranquillanti. Il tutto consiste nel riuscire a cogliere fino in fondo le motivazioni che stanno alla base del problema. Ad esempio la causa si può rintracciare in una leggera sensazione di depressione, in una situazione di ansia o nell’insonnia che il paziente non è riuscito a gestire e per questo ha dovuto ricorrere ai farmaci, di cui poi ha perso il controllo. 
In questo caso allora si deve tentare di arrivare ad una disassuefazione basata sullo scalare gradualmente il farmaco, magari facendo assumere al paziente dei medicinali specifici contro i sintomi dell’astinenza. Il tutto può essere condotto anche sulla base di un intervento domiciliare. In altri casi invece si ricorre al ricovero e alla terapia specifica condotta anche con fleboclisi.
Si va avanti scalando le benzodiazepine e sostituendole con altri farmaci GABA-Antagonisti. Si possono usare anche dei farmaci che servono a controllare le conseguenze della crisi di astinenza oppure degli antidepressivi, che hanno la funzione di aiutare il paziente a superare la depressione che può sopravvenire in seguito alla perdita dell’oggetto da cui aveva una dipendenza.
Perché gli ansiolitici provocano dipendenza
Gli ansiolitici sono delle sostanze psicoattive, che agiscono sul sistema nervoso centrale. Questi medicinali riescono ad attivare i livelli inibitori e subito si prova una sensazione di sollievo dall’ansia e si manifesta una tendenza al sonno. In genere le benzodiazepine rimangono nell’organismo soltanto per alcune ore. Tutto ciò determina il verificarsi di un desiderio di mantenere più a lungo possibile lo stato di benessere e quindi di assumere i tranquillanti in quantità sempre maggiore. Gli effetti collaterali sono molti. Si possono manifestare in chi fa abuso di ansiolitici anche problemi di erezione e di sterilità. Non bisogna dimenticare che la farmacodipendenza è molto pericolosa, per questo si deve intervenire con azioni specifiche per la disintossicazione.


Dipendenza da internet: test, sintomi e possibili cure

Una rete di conoscenze, informazioni e dati potenzialmente illimitata, senza confini spaziali o temporali certi: internet è tutto questo, ma non solo. Quella del web può trasformarsi anche in una rete in cui rimanere intrappolati, schiavi del suo mondo virtuale, fatto di siti e di social network. Che la curiosità diventi ossessione, complice la mania di controllare ogni dato o informazione sul motore di ricerca, o che la voglia di conoscere ed entrare nella vita degli altri, grazie a facebook o twitter, diventi un’esigenza dai profili patologici, quando lanavigazione on line diventa dipendenza da internet, meglio non sottovalutare il problema.

Internet: una rete pericolosa
Fa meno paura, sembra meno preoccupante rispetto alle forme di dipendenza più note, come quella da alcol sostanze stupefacenti, perché l’oggetto del desiderio patologico è innocuo e legale, ma è meglio non farsi ingannare. La dipendenza da internet è una vera e propria dipendenza e come tale va affrontata e trattata.

La definizione è “Internet Addiction Disorder” (IAD), è dipendenza dannosa, che colpisce, secondo le statistiche in materia, soprattutto gli uomini di un’età compresa tra i 15 e i 40 anni.

Le ore trascorse davanti al computer,incollati allo schermo dello smartphone o deltablet diventano sempre più numerose, a scapito di altre attività, come lo studio o illavoro, ma anche i rapporti sociali e affettivi. Ecco come la rete comincia a intrappolare i malcapitati, a trasformare un’opportunità, quella offerta da un mondo virtuale di contatti e informazioni, in unapatologia, in una dipendenza. 
I sintomi
I sintomi della dipendenza da internet sono chiaramente descritti dal Dsm, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder. I segnali di “allarme rosso” da non sottovalutare sono: desiderio persistente, perdita di controllo, bisogno compulsivo, riduzione o abbandono di attività sociali, professionali o di svago, uso ripetuto, nonostante la conoscenza dei problemi fisici o psicologici che provoca o aggrava, comparsa dei fenomeni di tolleranza e diastinenza.

Come in ogni rapporto di dipendenza, anche in questo caso, gli “schiavi” seguono una sorta di schema comportamentale. Inizialmente, si manifesta un interesse anomalo ed eccessivo verso il mondo virtuale e il suo utilizzo: si controlla ripetutamente la mail o il profilo dei social network, per esempio. In un secondo momento, la dipendenza prende sempre più forma: trascorrere molto tempo on line è un’esigenza, senza il web si scatenano sentimenti di malessere, agitazione enervosismo.

Il triste epilogo è quasi scontato. Internet diventa il centro di ogni giornata, di ogni azione o desiderio; la navigazione viene identificata come l’unica opportunità per ottenere soddisfazione e piacere. Quando il computer o gli altri supporti tecnologici dotati di connessione web diventano da accessori della quotidianità, funzionali ma non indispensabili, a protagonisti assoluti, la cui mancanza provoca vere e proprie crisi di astinenza, la dipendenza da internet è davvero un’opzione da considerare seriamente, da affrontare con la dovuta attenzione. 
Un test
Ecco un piccolo test che descrive qualche aspetto della dipendenza e ne identifica il profilo patologico. Chi si riconosce nella maggior parte di queste affermazioni (7 su 10) dovrebbe esaminare con sincerità il proprio rapporto con internet e, se necessario, chiedere aiuto a unospecialista.

1. Internet è un’abitudine quotidiana, che occupa gran parte della giornata.

2. Controllare le mail, il profilo facebook o la pagina di twitter è un’operazione che si ripete sistematicamente almeno ogni mezz’ora.

3. Quando la connessione salta, il computer o il tablet non funzionano, compare un senso di irrequietezza e malessere, che progressivamente sfocia in veri e propri stati d’ansia e depressione.

4. La realtà virtuale offerta dal web è quella che regala più soddisfazioni e piacere.

5. Giorno o notte non importa troppo, navigare in rete è l’attività principale della giornata.

6. L’interesse per le altre attività sociali e professionali è diminuito sensibilmente per lasciare sempre più spazio alla navigazione on line.

7. Le relazioni virtuali, che siano in chat o sui social network, hanno rubato sempre più spazio a quelle reali, agli affetti veri, fino a soppiantarle quasi completamente.

8. La vita senza internet diventa una sorta di incubo difficile da sopportare.

9. Sonno, lavoro, amici, famiglia, impegni e responsabilità possono e devono aspettare rispetto alla voglia di navigare in internet.

10. Quando si naviga on line, il tempo è come se si dilatasse all’infinito: se ne perde la cognizione e il controllo. 
Le cure possibili
Lo specialista, lo psicologo esperto in dipendenze, è la figura di riferimento migliore in questi casi. Allo scopo esistono numerosi centri in Italia che offrono l’assistenza specialistica adeguata, come quello inaugurato nei mesi scorsi, a Roma, presso l’ospedale Gemelli.

Il supporto psicologico è necessario, per avviare un processo di guarigione vera e propria, ma non basta. Il primo ingrediente per uscire con successo dalla dipendenza è la volontà di farlo, maturata con la consapevolezza di avere un problema che rischia di influire negativamente sulla qualità di vita.


FOMO – fear of missing out: ovvero l’ansia da social network

La FOMO, “Fear of missing out“, rappresenta uno stato di ansia e di paura di venir esclusi dal gruppo, di non integrarsi, di non essere presenti alle feste, voler essere in più posti contemporaneamente. L’avvento dei social network ha incrementato questo disturbo, che non è nato oggi, come qualcuno può pensare, ma esiste da anni, anche se è solo da poco che se ne parla maggiormente. Chi soffre di questo disturbo vive in continua agitazione, insoddisfatto e invidioso. Nonostante non sia una patologiariconosciuta da un punto di vista medico merita, sicuramente, maggiore attenzione, in quanto può essere la causa di stati depressivi e ansiosi più gravi.

La FOMO e i Social Network
Il disturbo è esploso in questi ultimi anni con l’avvento dei Social network in quanto mettono a disposizione di tutti una vita “virtuale”, nella quale si ha a che fare con numerose persone, relazionarsi e comunicare con sconosciuti che vivono dall’altra parte del mondo, cose che nella realtà vissuta tutti i giorni sono impossibili. Secondo uno studio, condotto dal JWT Intelligence, circa il 70% degli adulti, inconsapevolmente, è affetto da FOMO, il 56% degli adolescenti può essere correlato a questo disturbo, inoltre risulta che i maschi sono più a rischio rispetto alle donne. La bramosia e il desiderio di essere “migliori” degli altri, di divertirsi, di stare bene, insomma di avere una vita felice in tutto e per tutto, crea lo stato di insoddisfazione e ansia che caratterizza il disturbo. Infatti, se pensiamo a ciò che accade quando siamo collegati ai famosi Social network (vantarci anche di cose che non abbiamo pur di apparire agli occhi degli altri come fortunati o sempre impegnati) e a come ci sentiamo, ci rendiamo conto che, effettivamente, la FOMO esiste eccome. Come spiega il dottor John Grohol, sulla rivista Psych Central, chi soffre di questo disturbo ha un bisogno ossessivo e spasmodico di avere sempre più contatti, sempre più cose da fare, sempre più informazioni. Nonostante si stia conversando su, ad esempio, facebookcontemporaneamente si cerca di controllare altri siti, altri social network, leggere le mail. 
I rimedi possibili
Non tutti sono predisposti a questo disturbo, ma vi sono specifiche categorie di persone che sono più a rischio rispetto ad altre. Il dottor Herbert A.Simon ha stilato una classifica: gli ottimizzatori sono quei soggetti che non sono mai contenti di ciò che hanno, vogliono sempre di più, ecco perché nella maggior parte dei casi raggiungono dei livelli professionali molto alti, anche se sono vulnerabili alla FOMO. Un’altra categoria è quella dei soddisfatti, che ogni volta scelgono sempre la prima opzione, anche se non è quella giusta, secondo loro è la più sicura; inoltre queste persone non soffrono di FOMO. I rimedi per chi è a rischio consistono nel sfruttare il mondo virtuale pensando a se stessi, alla propria vita, condividendo con gli altri solo una minima parte di questa. Occorre inseguire i propri desideri e realizzare gli obbiettivi che ci si è prefissati senza dar peso agli altri, in modo tale da vivere tranquillamente e senza ansia.



La sindrome di Stoccolma

La sindrome di Stoccolma indica una particolare condizione psicologica, che si verifica quando un soggetto vittima di un sequestro manifesta sentimenti positivi diaffetto nei confronti dei sequestratori. Talvolta le persone rapite possono arrivare anche ad innamorarsi del sequestratore. Molto spesso questa sindrome può essere rintracciata anche nelle situazioni di violenza sulle donne, negli abusi sui minori e nei sopravvissuti ai campi di concentramento. Lasindrome di Stoccolma non viene considerata una patologia. Alla base ci sarebbero dei meccanismi mentali inconsci, collegati con l’istinto di sopravvivenza.

Sindrome di Stoccolma: che cos’è
Il significato della sindrome di Stoccolmava compreso bene proprio nell’analisi del rapporto che si instaura tra carnefice e vittima. La comparsa della sindrome dipende anche dalla personalità del sequestrato. Infatti più egli ha un carattere dominante, meno sarà predisposto nell’incorrere nella sindrome stessa.
Di solito la sindrome di Stoccolma si manifesta in personalità poco forti e non ancora totalmente strutturate, come quelle dei bambini o degli adolescenti. La sindrome può avere una durata variabile e comporta alcuni effetti psicologici, come, per esempio, disturbi del sonno, incubi, flashback, fobie e depressione.
Per la risoluzione di questi disturbi si deve ricorrere alla psicoterapia in associazione alle cure farmacologiche. In questo modo si può curare la sindrome di Stoccolma, una vera e propria sindrome vittima-carnefice.
Sindrome di Stoccolma: come si manifesta
La sindrome di Stoccolma si manifesta soprattutto quando la vittima percepisce che la sua sopravvivenza è legata al sequestratore. Inizialmente il soggetto prova uno stato di confusione e di paura per la situazione in cui si ritrova.
Dopo aver superato il trauma iniziale, comincia a cercare la soluzione per resistere alle difficoltà. Man mano che va passando il tempo, la vittima si rende conto che la sua vita dipende dal carnefice e sviluppa unmeccanismo psicologico di attaccamentonei suoi confronti, per poter evitare di morire.
Inoltre la vittima comincia ad identificarsi con il carnefice, inizia a comprendere le sue motivazioni e finisce col tollerare le violenze subite. Così facendo, elimina anche il rancore che dovrebbe provare verso l’aguzzino. Allo stesso tempo da parte del rapitore si mette in atto un feedback positivo, che porta alla garanzia di maggiore sopravvivenza per la vittima.
A parte i disturbi psicologici connessi, non si può parlare di veri e propri sintomi della sindrome di Stoccolma. Più che altro essa si riconosce dai sentimenti positivi della vittima verso il rapitore e dai sentimenti negativi manifestati verso chi cerca di andare contro l’aguzzino, concependolo come tale.
Il rapporto che si instaura tra la vittima e il carnefice, anche se apparentemente è di affetto, non porta a nessun vantaggio, a differenza delle vere relazioni amorose e durature, alleate della salute mentale.
In riferimento alla sindrome di Stoccolma, possiamo dire che si verifica una condizione psicologica che, in termini di salute mentale, si traduce in “sarò pazzo di te”, ma che è soltanto un modo inconscio per sopravvivere in situazioni di pericolo.


Ansia, incubi, difficoltà a prendere sonno...i benefici dell' Escolzia (Escholtzia Californica)

L' Escolzia esercita un effetto benefico sulla qualità del sonno in fase di addormentamento, durante i risvegli notturni ed in caso di incubi, perché agisce sul sistema nervoso centrale favorendo il sonno senza dare stordimento al risveglio
Ansiolitico naturale , combatte stress e nervosismo.
 Le sue virtù antispasmodiche la rendono indicata per attenuare dolori e crampi notturni. Indicata anche in casi di psoriasi con eziologia psicosomatica.

❤️Il patto coniugale❤️

http://www.psicodialogando.it/lamare-in-coppia-il-patto-coniugale-implicito/

Cari psichiatri , smettetela di curare chi non è malato

http://m.panorama.it/scienza/salute/psichiatria-critiche