Training Autogeno di 1° livello

L’attività è condotta da una psicoterapeuta qualificata e affronta sia gli aspetti fisici sia quelli psichici legati all’attività di rilassamento.

Lo scopo è di aiutare i partecipanti al corso ad entrare in contatto con se stessi, a prendere coscienza delle proprie criticità e a trovare al proprio interno le risorse e gli strumenti per superare ansie e condizionamenti e ritrovare un equilibrio psicofisico nella vita di tutti i giorni.

Il Training Autogeno favorisce una maggiore consapevolezza personale, l’individuazione dei propri bisogni, la riduzione delle tensioni (fisiche e psichiche) affinando le risorse a disposizione, al fine di poter raggiungere un miglior grado di rilassamento.

Dopo aver appreso le tecniche di rilassamento è possibile lavorare, attraverso la condivisione e il confronto di gruppo, su modalità alternative personali per affrontare e superare i momenti di difficoltà nonchè recuperare il proprio ruolo a livello individuale, familiare e sociale in una dimensione di benessere.

Corso a numero chiuso, composto da più lezioni a cadenza settimanale, della durata di due ore ciascuna.

Per accedere al gruppo è necessario effettuare un colloquio preliminare individuale, a carattere anamnestico-motivazionale, con la psicoterapeuta conduttrice del gruppo stesso.
Il colloquio preliminare si effettua su appuntamento.
Il Corso Si svolgerà a Thiesi (prov.Sassari)

IL TRAINING AUTOGENO

Con il termine “Training Autogeno” J.H. Schultz definì un metodo di autodistensione da concentrazione psichica che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche.Training significa allenamento, vale a dire apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza; il preciso e costante allenamento a tali esercizi, porta a modificazioni gradatamente più valide, precise, consistenti.Autogeno significa che si genera da sé; ciò differenzia questo metodo dalle tecniche autoipnotiche ed eteroipnotiche le cui realizzazioni somatopsichiche sono attivamente indotte dal soggetto o dal terapeuta.
Gli esercizi del Training autogeno hanno lo scopo di farci raggiungere lo stato autogeno che è una condizione di passività assoluta, priva di atti volitivi, realizzata nell’indifferente contemplazione di quanto spontaneamente accade nel proprio organismo e nella propria mente.

APPLICAZIONI

Il Training autogeno può essere applicato sia in trattamenti individuali che in trattamenti di gruppo, sia in pazienti con disturbi psichici, funzionali od organici, sia nei soggetti cosiddetti “normali”.Nello svolgersi di poche settimane, l’allenamento agli esercizi, praticato saltuariamente con il controllo del terapeuta e quotidianamente da soli, consente di poter offrire ai propri muscoli, ai propri nervi, ai propri organi, alla propria mente, uno stato di distensione fisica, di passività psichica, di calma, di benessere, sempre più completo e generalizzato.Con il sistematico e preciso ripetersi di queste sedute di autodistensione psichica e somatica, è possibile smorzare, risolvere, eliminare sintomi disturbanti, mobilizzare attitudini interiori che non riuscivano a realizzarsi spontaneamente, smantellare resistenze che impedivano il ristabilirsi di equilibri funzionali adeguati, trasferire dinamismi positivi negli strati più profondi della personalità, decondizionare situazioni patologiche anche da tempo stabilizzate.

Uno stato psicofisico che ci appartiene

Non soltanto da quando veniamo alla luce, ma già dalla vita prenatale è un continuo susseguirsi di stimolazioni fisiche e psichiche che colpiscono la nostra unità biologica. A queste stimolazioni si reagisce: il loro incessante susseguirsi provoca innumerevoli stati di tensione realizzati dal nostro apparato psichico e dal nostro apparato somatico allo scopo di poter mantenere il più adeguato adattamento alle situazioni ambientali.
Attraverso gli anni ci alleniamo inconsapevolmente e fatalmente a queste modalità di reazione in autotensione; non sempre però si riesce a riportarsi a uno stato di equilibrio funzionale, anche se la causa che lo aveva alterato è venuta a mancare.
La tecnica di autodistensione di Shultz ci consente di realizzare, sia a livello psicologico che somatico, uno stato di per sé del tutto opposto alla reazione in autotensione, tale da migliorare, modificare, risolvere o normalizzare funzioni psichiche o somatiche che si fossero allontanate dal loro equilibrio originario.

Gli esercizi

Il training autogeno è costituito da due serie di esercizi; la prima inferiore o somatica; la seconda superiore o psichica.Nella prima la concentrazione mentale è rivolta a particolari sensazioni somatiche; nella seconda a particolari rappresentazioni psichiche.
L’allenamento al primo esercizio ci offre la possibilità di realizzare, in modo sempre più completo e generalizzato, il contrario di ciò che può produrre uno stato di tensione, cioè distensione neuromuscolare, passività psichica, progressivo restringimento del campo della coscienza.
Alcuni soggetti, pur ignorando il successivo svolgimento di questa tecnica psicoterapeutica, riescono spontaneamente a percepire, durante l’esercizio della pesantezza una sensazione di calore. L’ipotonia che si raggiunge non è soltanto della muscolatura volontaria, ma anche della muscolatura delle pareti vascolari; si viene allora a determinare un’iperemia obbiettivamente controllabile, con aumenti di temperatura locale che possono anche superare 1°C; L’allenamento alla percezione di queste modificazioni circolatorie costituisce l’esercizio del calore.
Man mano che si allentano la tensione psichica e neuromuscolare la funzionalità respiratoria tende a modificarsi; quanto maggiore è lo stato di passività e calma emotiva, tanto più il respiro si fa spontaneo, meccanico, ritmico, autonomo.
La passiva e indifferente contemplazione che si realizza nella concentrazione psichica dell’esercizio del respiro offre la sempre più precisa sensazione che il respiro vada da solo; non è più il complesso psicosomatico, l’unità biopsichica, l’Io che respira, ma la massa pesante e calda del corpo che respira da sola, del tutto distaccata da una psiche che si fa gradatamente sempre più passiva, quasi assente.
Di solito ignoriamo il nostro cuore; soltanto una situazione patologica, uno stato di tensione emotiva, una necessità di maggiori prestazioni ci fanno percepire la sua presenza.Con una miglior conoscenza del nostro corpo, il T.A. ci offre nel suo esercizio del cuore, la possibilità di percepirne i battiti.
E’ una percezione insolita, ignorata, possibile solo dopo un certo allenamento a questa introspezione somatica, che ci dà la rassicurante consapevolezza del cuore che batte, calmo, ritmico, regolare.Dopo i visceri toracici, la concentrazione psichica si orienta ai visceri addominali; l’esercizio relativo è l’esercizio del plesso solare.
E’ attraverso il plesso solare che le emozioni si irradiano agli organi addominali determinando spasmi, contratture, sensazioni di freddo interiore; l’allenamento al quinto esercizio inferiore porta facilmente alla realizzazione di una distensione, di un’armonia funzionale, di una sensazione di equilibrio e di calore negli organi addominali.
L’ultimo degli esercizi del ciclo inferiore è il cosiddetto esercizio del fresco alla fronte, durante il quale la fronte viene percepita come staccata dalla massa calda e pesante del corpo.Contrariamente al caldo della testa che può essere percepito durante uno stato di tensione, di ansia, di stress, la realizzazione dello stato autogeno comporta una gradevole sensazione di fresco che viene vissuta come uno stato di calma, di vuoto psichico, di pace interiore.
Alla serie di esercizi del ciclo inferiore, seguono quelli del ciclo superiore, non più orientati sul soma ma sulla psiche; con essi è possibile favorire la produzione di un ricco materiale di provenienza inconscia.

Effetti dell’apprendimento

In conseguenza dell’apprendimento di questo nuovo ed insolito atteggiamento, si sviluppano spontaneamente modificazioni psichiche e somatiche di senso opposto a quelle provocate nella nostra mente e nel nostro corpo da uno stato di tensione, ansia, stress.Di fronte ad una situazione stimolo che, sia a livello psicologico che somatico superi una certa soglia di tolleranza, l’unità biopsichica reagisce secondo l’intensità dello stimolo, con tensione muscolare, spasmo viscerale, sensazione di freddo al corpo, alterazione funzionale nei meccanismi neurovegetativi, endocrini, umorali.Si può inoltre avvertire sensazione di calore al capo, l’impressione di essere sopraffatti dalle proprie emozioni e dai pensieri che si affollano nella mente. L’allenamento alla realizzazione di uno stato di sempre maggiore passività consente all’unità biopsichica di reagire, gradualmente in modo opposto.Si determinano allora distensione muscolare e vascolare, rilasciamento viscerale, sensazione di calore per il corpo, regolarizzazione funzionale nei meccanismi neurovegetativi, endocrini, umorali; infine sensazione di fresco alla fronte che corrisponde a uno stato di calma, di benessere, di pace interiore.

La Psicoterapia Bionomica

la psicoterapia bionomica è un metodo psicoterapeutico basato sull'instaurarsi di una specifica relazione tra terapeuta e paziente e basato sui principi dell'introspezione e della psicologia del profondo.
Schultz elaborò delle tecniche specifiche basate sui principi dell'apprendimento, dell'esercizio e dell'addestramento e denominate autogene (da cui anche la denominazione "psicoterapia autogena"), da utilizzare all'interno della relazione terapeutica con l'intento di migliorare l'introspezione, di favorire la produzione di materiale dal profondo in modo da poter conoscere il piano di vita che contiene la soluzione del benessere del paziente.

La psicoterapia bionomica è basata sull'instaurarsi di una specifica relazione terapeutica; essa è stata chiamata "comunione terapeutica" per sottolinearne gli aspetti di risonanza empatica e di alleanza lavorativa.

il Training Autogeno nella Psicoterapia Autogena

Il training autogeno andrebbe sempre collocato nell'ambito della psicoterapia autogena, è il suo strumento operativo.
La p.a è un sistema psicoterapico completo che si rivolge a tutte le forme di psicopatologia: disturbi nevrotici, psicotici,forme psicosomatiche o narcisistiche.

EMPATIA

Sia negli ambiti psicoanalitici che in quelli psicologici e sociali e anche in quelli strettamente di competenza della ricerca empirica questa parola echeggia un po' misteriosa, un po' inquietante.Empatia è la traduzione della parola inglese "empathy" coniata per tradurre il termine tedesco "Einfuhlung", ma ha anche un'altra origine: dal greco empatheia; già questa differenziazione crea una serie di confusioni, dal concetto di "immedesimazione", che sottende un processo di identificazione, vicino al termine tedesco, al concetto, più relazionale, di entrare nella sofferenza dell'altra persona, letteralmente dal greco.
Potremmo anche azzardare un parallelo con l'evoluzione del concetto di empatia dall'estetica tedesca del XIX secolo, dove costituisce un'esperienza di romantica fusione dell'anima con la natura, esperienza, dunque, dove esiste una sensibilità soggettiva e una realtà obiettiva, al concetto di empatia di Theodor Lipps, che in un saggio del '900 la definisce come una funzione psicologica fondamentale per l'esperienza estetica, e dove la sensibilità umana è proiettata nelle forme con gli atti costruttivi dell'occhio e dell’interpretazione visiva.
Non ci addentriamo, evidentemente, in questa ricerca etimologica e teorica per passare a un breve e ridottissimo excursus storico sull'uso del termine in psicologia e in psicoanalisi.
L'accezione più comune del termine "empatia" è quella che troviamo nella definizione di Lichtenberg (1983) come atto di "entrare nello stato mentale dell'altra persona" che diventa poi "modo di percepire lo stato mentale dell'analizzando".
Rogers e la sua scuola (1980) la definiscono come capacità da parte del terapeuta di entrare nel mondo personale del cliente in modo così intimo da percepirne anche la parte inconsapevole, o inconscia, e comunicarla in un linguaggio sintonizzato sul suo, considerando così l'empatia una delle tre condizioni necessarie e sufficienti per il cambiamento psicologico.
Anche Freud parla di Einfuhlung, in Psicologia delle masse e analisi dell'io (1921) per citare un passo noto, nei termini di un processo, che la psicologia chiama "immedesimazione". Questa ci permette di intendere l'io estraneo di altre persone, e non è considerata di per sé un fattore terapeutico, ma un importante prerequisito dell'interpretazione.
Sarà poi Kohut (1959-1981) con la psicologia del sé a dare all'empatia un'importanza centrale e a definirla come strumento per comprendere il sé del paziente dall'interno, in opposizione al comprendere astratto derivato dalle teorie.
Kohut parla di “immersione empatica” e di “introspezione vicariante” per definire la nostra capacità di pensare e sentire noi stessi nella vita inferiore di un'altra persona, di provare ciò che un'altra persona prova. L'esempio è quello della madre che deve provare i medesimi sentimenti del bambino, anche se in modo meno intenso, altrimenti non potrebbe calmarlo.
In Kohut appare l'idea che l'empatia, per la sua semplice presenza, abbia un effetto benefico sia nella situazione analitica sia nella vita in genere. Egli ritiene che la presenza di rapporti empatici nell'infanzia garantisca uno sviluppo sano poiché questi rapporti forniscono alcune funzioni indispensabili quali il rispecchiamento, l'esperienza di oggerto-sé idealizzato e l'esperienza di gemellarità, ma per quanto riguarda in particolare i rapporti terapeutici, ritiene che il cambiamento avvenga attraverso altri meccanismi, quali per esempio l'apertura di un canale di empatia tra sé e oggetto-sé.
Saranno i successori di Kohut a sviluppare il concetto di empatia come fattore terapeutico: Terman (1988) ritiene che il legame empatico sia l'elemento curativo centrale, allo stesso modo Bacai (1990) con il termine di "responsività ottimale" definisce il rapporto empatico come l'esperienza dell'analista che risponde con modalità che facilitano il rafforzamento, la crescita e la vitalità del sé nel cliente.
Fosshage (1997) introduce un aspetto più intersoggettivo mettendo in luce l'importanza per il paziente, in certi momenti, anche di comprendere e sperimentare il punto di vista dell'altro. Weiss e Sampson (1986) hanno messo in luce altri aspetti dell'esperienza empatica parlando dell'atteggiamento "proplan" del terapeuta, che viene incontro al desiderio inconscio del paziente di disconfermare le credenze patogene. Feiner e Kiersky (1994) propongono un modello sulla natura dell'empatia per la maggior parte condiviso in ambito clinico: il processo empatico consisterebbe in una fase iniziale in cui una serie di percezioni sensoriali genera una risonanza affettiva, basata sulla capacità umana innata di accedere agli stati affettivi ed esperienziali di altri esseri umani, e in una seconda fase in cui complesse operazioni cognitive e affettive contribuiscono alla costruzione dei si significati. Stolorow (1992) parla di analogie tra i principi organizzatori di chi osserva e quelli della persona osservata; Correale (1999) fa riferimento all'intervento dei processi immaginativi; Fonagy (1995) definisce “madre empatica” colei che riesce a comprendere gli stati mentali del bambino come entità separata, cioè che possiede una "teoria della mente". Levine (1997) nota che in gran parte della letteratura contemporanea l'empatia è indistinguibile dal contro transfert, cioè da quelle aree esperienziali in cui i pensieri e i sentimenti passeggeri sperimentati da una persona le permettono di registrare sensazioni sulle esperienze e sul mondo interno di un'altra persona e di provare quindi una comune comprensione empatica.
Possiamo così riassumere che l'empatia, così come è stata finora interpretata, consista principalmente nell'ascoltare e comprendere l'esperienza del paziente dall'interno della sua prospettiva; dunque ascoltare e comprendere nell'accezione più vasta del termine, sintonizzarsi con i bisogni del paziente, accettarlo profondamente, coinvolgersi affettivamente, monitorando continuamente il proprio atteggiamento. Tutti questi aspetti concorrono a far sì che l'empatia sia un fattore terapeutico specifico della psicoterapia e non (ovvero comune a più trattamenti), principalmente per una serie di caratteristiche positive che potremmo così, altrettanto brevemente riassumere seguendo gli autori citati prima: aspetto di contenimento, condivisione emotiva, accettazione da parte di una figura idealizzata, rafforzamento della coesione del sé, esperienza emotiva correttiva, formazione di nuovi principi organizzatori, ecc.L'empatia intesa come "struttura" e come elemento "fondativo" dell’esperienza psicoterapeutica.L'empatia psicoanalitica è argomento delicato e complesso, in quanto mette in gioco, nel realizzarsi del processo analitico, il prezioso intrecciarsi di due mondi interni che entrano in contatto profondo.
La disposizione empatica dell'analista, quale autentica capacità di sentire l'altro `dal di dentro', ne è quindi una variabile determinante. Potremmo definire l’empatia quasi come un processo identificativo, anche se in realtà l'identificazione è un meccanismo che mettiamo in atto per evitare sentimenti di angoscia, colpa o perdita, prendendo la scorciatoia della (con)fusione tra noi e l'altro, l'empatia serve piuttosto a sentire e comprendere queste condizioni interne.
La differenza fondamentale sta nel livello di consapevolezza presente: chi si identifica normalmente non ne è conscio, mentre chi empatizza sì. Quindi, mentre l'identificazione è un processo prevalentemente inconscio, l'immedesimazione empatica accade invece a livello conscio e preconscio, è un evento transitorio e non sostitutivo, pertanto prevede la consapevolezza della separazione.Non a caso la comprensione empatica vera spesso si realizza solo dopo periodi anche lunghi di non comprensione e di confusione, durante i quali all'analista spetta il compito di restare in posizione di ascolto fiducioso, senza per questo cadere nello sforzo coatto di ricercare il contatto a tutti i costi.
Personalmente sento il concetto di empatia molto vicino a quello che ne da Edith Stein, una pensatrice di formazione fenomenologica che poi ha preso la via della mistica,ha chiamato empatia l'atto mediante il quale l'essere umano si costituisce attraverso l'esperienza dell'alterità, cioè del rapporto con l'altro.
“L'empatia” dice la Stein “è l'atto paradossale attraverso cui la realtà di "altro", di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove, nell'ignoto, diventa elemento dell'esperienza più intima cioè quella del sentire insieme”.
Credo che al di là dei termini che più o meno risuonano nella nostra mente durante l'esperienza quotidiana di psicoterapeuti, quindi sentire insieme, immedesimarsi, partecipare all'esperienza del paziente, intesa nel vero significato questa esperienza dell'empatia sia veramente affascinante.
Dobbiamo infatti intenderla come "esperienza dell'esperienza dell'altro", attraverso cui si costituisce la soglia della soggettività, ma soggettività che nello stesso tempo si abbandona, per andare incontro all'altro.
In altri termini nell'incontro con l'altro inteso in questa modalità accade un imprevisto che mette radicalmente in questione l'unità di ciò che comunemente viene chiamato Io.
O ancora, l'esperienza empatica è quella che fa uscire dai confini dell'io, non è: “Provare insieme” ma: “Allargare la propria esperienza cosi che sia in grado di accogliere l'esperienza dell'altro”.
In effetti questo rendersi conto, giocato sul confine tra interno ed esterno, di qualcosa che è davanti a noi e ci si oppone, si presenta come una rottura della continuità della nostra esperienza, ma è l'aspetto fondativo e strutturale che permette di dare all'esperienza empatica il valore di atto di coscienza, permettendo lo scambio di senso. Lo spazio-intersoggettivo si configura, alla luce di queste osservazioni, come un non-luogo, ma allo stesso tempo come il luogo, l'evento appunto, in cui si concreta la relazione interpersonale tra me e l'Altro, lo spazio che permette e costringe la trascendenza, cioè l'andare oltre, o, potremmo ancora dire, lo spazio/tempo infinito e discontinuo che permette il divenire, cioè di uscire da una circolarità chiusa di tipo narcisistico.
E’ importante in questo momento storico del nostro lavoro come psicoterapeuti interrogarci sul senso, appunto, di quello che stiamo facendo,sull'autenticità del nostro operare, tanto più se questo comporta effettivamente dei cambiamenti in noi stessi e nei nostri pazienti; interrogarci quindi sul senso di questo incontro.
Dobbiamo far entrare l'empatia dalla porta principale, e non considerarla un semplice supporto di ogni incontro ben riuscito. L'empatia riguarda infatti la fase della creazione di un contratto, prima di tutto con se stessi, riguardo la situazione di ciascuno di noi, sul come e quanto si è in grado o si è disponibili a rinunciare alla propria soggettività.
Solo in base a questo, e premesso questo, è possibile creare un'alleanza, buona o cattiva che sia.
Questa operazione di rinuncia, o meglio, questa "funzione" che comporta vissuti di vuoto e di destabilizzazione, a favore della possibilità dell'incontro (quindi di creare quello che abbiamo chiamato spazio o evento empatico), è "in fieri" sia nel terapeuta che nel cliente,ed è un progetto inconsapevole

Una preparazione alla Psicoterapia Bionomica dell'infanzia: Il metodo Wintrebert

Il presente lavoro nasce con l’intento di evidenziare l’importanza dell’impiego della psicoterapia bionomica in area infantile attraverso l’utilizzo di tecniche appropriate , nel caso specifico della tecnica Wintrebert associata al T.A. di Schultz.

Partendo dal presupposto che nei primi anni di vita il bambino viene ad assumere una posizione particolare sia sul piano biologico che psicologico, già Schultz si era occupato di individuare il Training Autogeno come metodo che poteva applicarsi anche all’area infantile, sottolineando come nel processo di superamento dei vari gradi della scala evolutiva e nella ricerca di una maggiore autonomia,il bambino avesse sempre bisogno dell’aiuto dell’adulto.
Il metodo del Training Autogeno nel bambino risulta ottimale secondo Schultz , ma risente di alcune prescrizioni come la ripetizione mentale della formula, l’umore del bambino,il rapporto col terapeuta, così come di alcune indicazioni (disturbi psicosomatici, comportamentali )che ne limitano a volte l’applicazione e l’efficacia.
In questo senso il metodo Wintrebert può collocarsi come un valido supporto di preparazione ad un lavoro terapeutico successivo essendo svincolato dalle indicazioni strettamente psicosomatiche o comportamentali e rinforzando il rapporto di maternage che si crea tra terapeuta e bambino, focalizzando nella soddisfazione affettiva la spinta motivante al lavoro terapeutico.
L’utilizzo del metodo diventa il punto di partenza ideale al fine di riordinare bionomicamente esperienze che hanno favorito orientamenti abionomici riportando l’individuo al rispetto dell’esistenza.
Se ciò viene avviato già in età infantile con modalità idonee alla induzione di tale consapevolezza con tutta probabilità il percorso verrà facilitato in età adulta.
Il metodo Wintrebert è un compromesso_tra il metodo di Schultz (di cui esso sottolinea lo scopo somatico e psicoterapeutico) e quello di Jacobson (dal quale trae gli esercizi del tipo contrazione-rilassamento segmento per segmento).
Wintrebert ha elaborato la sua tecnica (presentata a Parigi nel 1959), constatando che il metodo di Schultz era difficilmente applicabile «tale quale» ai bambini, in particolare ai più giovani, per un certo numero di ragioni:
- L’importanza delle consegne verbali che comportava, e dunque la necessità di un livello mentale vicino a quello di un bambino di 10/12 anni.
- La capacità di concentrazione , capacità che il bambino giovane non ha facilmente, per cui l'immobilità richiesta per questa concentrazione non sarà possibile né comprensibile, o comunque si trasformerà semplicemente in addormentamento (lo stato di immobilità in posizione allungata, gli occhi chiusi, induce sovente spontaneamente il sonno nel bambino).
Infine Wintrebert , notò due caratteristiche frequentemente ritrovate nel bambino: l'assenza di sensazioni provenienti dal corpo privato del movimento e la mancanza di sintesi sul piano verbale (i bambini sono effettivamente limitati da conoscenze parziali sul piano verbale in ciò che concerne il loro corpo; essi vedono raramente il corpo come un'entità ma più sovente come diverse parti enumerate; alla domanda «com'è il corpo?» la risposta è data sovente con il gesto indicante il petto).
Egli dunque constata inizialmente il pericolo del rilassamento che all'inizio riduce il bambino, che è tutto azione, ad immobilità, al silenzio, all'oscurità che potrebbero creare il vuoto del corpo e l'angoscia.
E’ per questo che il suo metodo è centrato sull’ ”induzione corpo a corpo”che è rassicurante e permétte al bambino di restituire se stesso alla realtà.
I riferimenti messi in gioco sono attivi, tattili, verbali.
Wintrebert cerca dunque di indurre la deconcentrazione muscolare in modo passivo, senza fare appello né alla volontà né all'attenzione del bambino piccolo.
Egli aveva in effetti constatato, controllando con dei movimenti passivi lo stato di rilassamento di un gruppo di bambini, che questa semplice manovra portava sovente al rilassamento. Arrivava cosi ad ottenere un allentamento globale con lo spostamento passivo, ritmico e ripetuto dei diversi segmenti degli arti. I bambini mantengono il beneficio di questo allentamento e si concentrano meglio sugli esercizi che dovranno eseguire in modo attivo in seguito da soli.
II Metodo Wintrebert comporta due fasi:

- La regolazione del tono con i movimenti passivi, con:
• una fase di movimenti passivi,
• una fase intermediaria.
- Il riadattamento dei movimenti, con:
• una fase di movimenti attivi,
• una fase di adattamento alla vita quotidiana.
Ogni seduta dura da 15 a 20 minuti, è quotidiana per il bambino a casa propria e settimanale o bisettimanale dal terapeuta.

La seduta comporta tre punti:
1. Tempo di movimenti passivi della mano, dell’ avambraccio, della spalla, della testa-faccia-collo, della mandibola, dei piedi, del ginocchio, con induzioni verbali e tattili.
2. Tempo di completa immobilità in cui si prolunga lo stato di rilassamento con il contatto.
3. Tempo di riadattamento dei movimenti con esecuzione attiva del movimento e postura seguito da una rivoluzione tonica (ripetizione).

1" fase: regolazione del tono con i.movimenti passivi
La Fase del movimento passivo consisterà nel mobilizzare passivamente prima i diversi segmenti dell'arto superiore destro, poi sinistro, poi gli arti inferiori con un movimento ripetuto cadenzato (possono essere necessari e da 10 a 15 ripetizioni).
Il movimento passivo è ottenuto quando il terapeuta non percepisce più né resistenza né partecipazione da parte del soggetto. Questo movimento passivo che avviene con l’induzione propriocettiva si trova tra il movimento attivo volontario e l'assenza'completa di movimento.
Quando, dopo un certo numero di movimenti, si è instaurato uno stato di rilassamento, si lascia prolungare questo stato per qualche minuto.
Poi si passa alla fase intermedia, durante la quale, con dei contatti leggeri, si fa una specie di giro sul corpo del bambino, dandogli nello stesso tempo degli ordini verbali.
Questi due tipi di induzione tattile e verbale sono molto interessanti.
Al momento dell'induzione tattile, la sensazione ricevuta dal soggetto attraverso l'intermediazione dell'adulto è molto dinamica.
Èssa si effettua in una situazione molto arcaica che ricorda i primi' contatti con la madre.
La sensazione tattile trasporta cosi un doppio_significato affettivo: quello .che, è vissuto dal bambino in relazione con l'adulto esterno e quello che è vissuto anteriormente nei primi episodi della vita.
Questa stimolazione ristruttura il reale nel caso in cui il bambino abbia troppa tendenza a vivere la propria relazione sotto forma immaginaria. Essa gli permette ugualmente di localizzare le diverse parti del corpo. E questo grazie alle induzioni verbali, la stimolazione tattile gioca allora il ruolo del carico magnetico e affettivo a livello del corpo.

La tecnica Wintrebert applicata in chiave bionomica come preparazione ad una psicoterapia prevede quindi l’uso di

-tecniche sia verbali che non verbali
-tecniche bionomiche e non (sogno da svegli,oniroterapia…)

Il bambino, il cui piano di vita si sta attuando, attraverso questo lavoro inizia a sviluppare un principio di espansione della coscienza che gli consente di immettersi in un processo individuativo di tipo bionomico.
Il processo di espansione della coscienza è nel bambino in una fase molto primitiva ma comunque è processo introspettivo organismico stimolato dalle FUNZIONI PSICOTERAPICHE che conducono il bambino ad ampliare quantitativamente e qualitativamente il proprio campo di coscienza.
Egli inizia a familiarizzare così con i propri processi psichici interiori.

Il complesso lavoro effettuato sia individualmente che in gruppo è in grado di favorire nel bambino una iniziale ma progressiva INTROSPEZIONE BIONOMICA ,come un processo organismico per cui si effettua una passiva autoimmedesimazione interiore utile a determinare un’espansione del campo di coscienza finalizzata a una chiarificazione di sé in senso bionomico.

La differenza rispetto alla psicoterapia bionomica che utilizza il metodo del t.a. sta nella presenza del terapeuta-mediatore (il terapeuta mostra al bambino l’esercizio muovendo le parti del corpo interessate) egli è attivamente partecipe soprattutto in fase preliminare (si inserisce il modellamento come metodo motivante dell’apprendimento) ma anche attraverso la relazione psicotonica favorisce processi regressivi utili all’evolversi della terapia

La psicoterapia bionomica, servendosi del metodo Wintrebert permette di entrare in comunicazione diretta con le strutture originarie della personalità parlando un linguaggio corporeo, psicomotorio e psicotonico ricreando così le cariche affettive ed emozionali del dialogo iniziale col corpo dell’altro.
Tale regressione a modi di comunicazione arcaici costituisce il principio fondamentale della terapia in quanto, partendo da questa regressione e rivivendo le relazioni corporee primarie, è possibile ristrutturare le tappe che ne derivano: spazio fusionale, comunicazione simbolica e affermazione dell’identità.

Affinché si stabilisca un dialogo autentico tra adulto e bambino è necessario
 che l’iniziativa sia lasciata al bambino il quale deve sentirsi accettato, invitato, mai obbligato o forzato. Si può realizzare un abolizione dei ruoli, ma non delle persone, l’adulto resta l’adulto, ma è così possibile creare autentiche e proficue relazioni.
 La diselaborazione del nostro linguaggio: utilizzare un linguaggio destrutturato ha una sua coerenza a livello inconscio perché con la sua spontaneità favorisce processi empatici
 Abbandonare la preminenza del gruppo sulla persona impegnandosi in relazioni interindividuali in seno al gruppo, questo consente ai bambini più in difficoltà di stabilire con il conduttore il tipo di comunicazione privilegiata

Va sottolineato inoltre come il corpo del terapeuta sia rivelatore, all’interno della relazione tonica, di ciò che il bambino non può dire, né scrivere, né disegnare, dei fantasmi che esprime inconsciamente nel suo agire.
Il corpo del terapeuta è “sostituto simbolico” del corpo della madre o del padre per cui la proiezione di fantasmi sul corpo del terapeuta e la risposta che viene rinviata, permettono una mobilitazione della situazione relazionale bloccata nella fissità del comportamento: una specie di sblocco dell’espressione simbolica dei fantasmi. In assenza del terapeuta è necessario un oggetto sostitutivo (Winnicott) che viene introdotto dall’adulto nella relazione e caricato affettivamente
La metodologia appresa dal bambino potrebbe anch’essa essere considerata oggetto sostitutivo della relazione.
L’intervento del terapeuta , corpo sostitutivo che sa rispondere ai fantasmi del bambino,permetterà un’evacuazione di quelle tensioni inconsce che tolgono al bambino ogni possibilità d’evoluzione.
Il mettere il proprio corpo al servizio dell’altro in una relazione terapeutica necessita d’un dominio delle proprie pulsioni e delle proprie reazioni toniche.
Entra quindi in gioco come nella relazione psicanalitica il concetto di “transfert e controtransfert”.
Infatti nella relazione psicomotoria rientra da parte di chi interviene una certa partecipazione emozionale che permette alla comunicazione di passare. Quando si lavora a livello corporeo il transfert è molto intenso e rapido perché si fa appello ad una sensibilità affettiva molto arcaica, legata all’immagine genitoriale.
Il terapeuta deve avere però padronanza del controtransfert, attraverso atteggiamenti di ascolto ed analisi del proprio inconscio.
Si tratta quindi di interpretare le proprie ed altrui reazioni motorie e toniche dando loro un senso.
La relazione tonica è scambio dialettico che può stabilirsi tra due corpi e permette loro di comprendersi, di stabilire una situazione di fusionalità più o meno simbolica,di comunicare e trovare piacere in questa situazione.
Il vettore della comunicazioni non è il gesto dinamico in sé stesso, ma le modulazioni toniche (legate alla sottocorticalità) che danno a questo gesto il suo contenuto affettivo ed emozionale.
La relazione tonica segue un ordine biologico e psicofisiologico , quello che è sentito è complicità implicita.
La dialettica tonica esprime la dialettica fusionale perché è la ri-unione di due corpi che , che al di là della loro separazione,ritrovano la loro unità biologica e partecipano alla stessa vita.
Il metodo Wintrebert favorisce così un contatto corporeo a vari livelli: la posizione supina e la lentezza dei movimenti facilitano il processo regressivo, così come la voce ,il ritmo e la tonalità del linguaggio ,lo sguardo ed la gestualità.
L’abbandono della testa (rilassamento dei muscoli della nuca) favorisce l’abbandono e la fiducia verso l’altro, la chiusura degli occhi permette di centrare la sensibilità nel resto del corpo e favorisce la perdita della nozione di spazio.
L’immobilità prolungata determina il senso della perdita del proprio corpo (sensazione fusionale)
Il calore determina una sensazione soggettiva di perdita dei limiti dell’io che fa riferimento inconscio al calore intrauterino.
Ci sono inoltre sensazioni legate a respiro, battito cardiaco,peso, tonicità muscolare.
Tutti questi parametri sono i fondamenti della vita , a ragione la metodologia in questione ha valore Bionomico.